Prima ancora di essere un luogo, la Calabria è uno spazio mentale. Estremità del continente, la regione è stata spesso raccontata come il luogo del limite: dei suoi abitanti si dice che sono aspri e chiusi, come la natura intricata dei suoi boschi,oppure che sono molto ospitali, accoglienti come può risultare accogliente una spiaggia di Tropea in una giornata di sole. Chi arriva si accorgerà che esistono tante Calabrie: una è quella dei 780 Km di costa, che offre, alla vista di chi la guarda dal mare, rupi che precipitano nell’acqua e frastagliate scogliere calcaree dal lato tirrenico, declivi collinari più dolci e ampie spiaggie sabbiose dal lato dello Jonio. Esiste una Calabria delle montagne: a nord le rocce, i canyon del Pollino e della catena dell’Orsomarso, poi i profili più dolci della Catena Costiera che corre lungo la parte settentrionale del Tirreno. Inoltre, all’interno, il bosco intenso dell’altopiano silano, quindi le Serre che offrono panorami vari, ed infine gli impervi dirupi dell’Aspromonte. Terra di conquista, è stata attraversata da mille popoli ed ognuno ha lasciato tracce importanti. Comprendere le tante Calabrie significa tenere conto non solo dei Bruzi e dei Greci, ma delle dominazioni romana, normanna, aragonese, spagnola, austriaca, francese. Terra d’approdo e di transito, di emigrati che spesso riportavano nelle loro case esperienze fatte in mondi lontani, terra dei mille dialetti, la Calabria è un crogiuolo di tradizioni diverse, una regione plurale.
Ma contemporaneamente la Calabria da sempre viene vista come spazio univoco, chiuso in se stesso. Nell’immaginario popolare la “calabresità” è una sola ed ha contorni definiti, e questo comporta per chi arriva lo sforzo di superare i luoghi comuni, di arrivare con la mente libera, di trovare i giusti toni per addentrarsi nei diversi scenari naturali, di prepararsi a guardare bene, perché da queste parti, certe volte, il solo guardare il paesaggio, giustifica l’essere giunti.